L'oralità in Patativa di Assaré rimanda all'infanzia del poeta e si confonde con la sua storia di vita.
Nelle reminescenze che attestano lo stato meraviglioso della sua memoria, ecco le note che ci possono aiutare a comprendere la genesi della sua occupazione. In principio era la chitarra: Qui ad Assaré, in tempo di festa, comparivano dei cantastorie. Il ragazzo timido non arrivava a parlarci: Ma mi prese una voglia terribile di possedere una chitarra.
La conclusione è in stile romanzesco e riscatta l'amore familiare. Antônio Gonçalves da Silva aveva una pecora. Lo scenario eran le colline di Santana che egli considera, ancora oggi, una porzione di paradiso. Il ragazzino, cosa poco comune, chiese alla madre di vendere la pecora e comprare una chitarra.
Si mise a cantare: da solo, in casa, allenandosi presso i vicini e poi accettando gli inviti di persone amiche. Ciò a partire dall'età di sedici anni, con un occhio perso all'età di quattro, a causa di un morbillo, il che, metaforicamente, può esser letto come una premonizione che conduce alla professione del cieco venditore di poesie, ma che nella pratica non impedì al giovane di fare il contadino, che egli continuò ad essere fino a settant'anni e oltre.
Patativa ci tiene a sottolineare che, anche quando cantava accompagnandosi alla chitarra, non lo fece mai come professione. Io non ero altro che un agricoltore. E anche quando prevaleva il cantastorie, non smise mai di creare le poesie che sorgevano nella sua immaginazione.
A questo punto, vale la pena di evidenziare l'oralità come istanza di creazione e di enunciazione della materia poetica. Possiamo pensare a un movimento complementare: da un lato, l'improvvisazione, che dona agilità al poeta, e detta un ritmo che andrà a marcare l'insieme della sua produzione; dall'altro lato, la declamazione del poema, intesa come possibilità di rinunciare al partner e come evidenza di un'espressione che attinge la propria completezza.
La falsa timidezza del poeta, indicata come eredità paterna, è contraddetta dal fatto che Patativa fece vibrare la sua voce non appena nei limiti della sua Assaré, bensì affrontando pubblici diversificati e spazi legittimati, con la forza di una performance contagiosa.
Il giovane poeta lasciò le sue mitiche colline di Santana in compagnia di un parente e percorse il cammino tortuoso di molti uomini del Cearà, alla ricerca dell'acqua dell'Amazzonia, in Parà.
Paradossalmente, non si trattava di un contadino che viaggiava alla ricerca di un suolo fertile e fuggindo da una siccità ostile. Chi sbarcò a Belem, a diciannnove anni, una chitarra sotto il braccio, era un cantastorie non ancora battezzato. Fu il giornalista cearense Josè Carvalho, abitante a Belèm, e autore di O Matuto Cearense e o Caboclo do Parà che lo soprannominò, attraverso questi versi:
É ave que canta solta / e inda mais canta cativa / seu nome agora é Antônio / crismado por Patativa
(Uccel che libero canta / e ancor più se catturato / il suo nome adesso è Antônio / Patativa è battezzato).
È curioso che i documenti registrino il cantastorie piuttosto che il poeta che Patativa dice di esser sempre stato. Ma questa distinzione è arbitraria, e ciò che importa è considerare l'aspetto dell'oralità, marchio della sua produzione, anche quando la sua voce si trasforma in parola scritta e la performance si confonde con la stampa.
Il soprannnome Patativa, a cui in seguito viene aggiunto di Assaré, quando sorgono altri Patativa nel Paraiba e nel Rio Grande, è un forte indizio del fatto che è il canto, la voce, a prevalere. È una poesia intesa come una musica che lui fa e il suo pubblico approva e consuma.
Fu nel Parà, cantando per la colonia nordestina, che si preparò per sfide di canto maggiori. Sulla via del ritorno, a Fortaleza, un'esibizione nella casa del poeta Juvenal Galeno, autore di un'opera che partì dalla tradizione orale.
Patativa passò ad essere il cantante delle cose della sua terra, da ciò arriverà la sua universalità. Sorta di interprete della bellezza, della sofferenza e dei sogni degli uomini delle campagne.
Perfezionò il suo canto in questa prospettiva, e, uccello quale è, si liberò, senza perdere di vista il proprio inserimento in una realtà contraddittoria e perversa.
È qui che si accentua il suo cristianesimo primitivista, con la sua ansia di condivisione, di uguaglianza di opportunità e di correzione riformista della società. Come se un mondo al contrario fosse l'ideale della sua comunità e il suo; portavoce, lui, di coloro che poco interferiscono nelle decisioni del potere.
Era prevedibile che questa voce così ben accolta da grandi contingenti di nordestini del sertão fosse pubblicata come folheto di cordel, il che sarebbe stato del tutto compatibile con lo stadio di sviluppo delle arti grafiche nella regione.
Perchè, sebbene i suoi poemi fossero, per certi versi, estranei all'universo narrativo dei folheto, erano frequenti le stampe di sfide di canto e improvvisazioni, perfino nel caso che i duelli fossero stati inventati, come quello di Cego Aderaldo con Zè Pretinho, ancora oggi letto e discusso.
Era prevedibile anche che, per un capriccio di un ricercatore, venisse fatto un vaglio della produzione di Patativa, per inglobarla in una delle tante antologie e delle selezioni, comuni a partire dagli studi sul folklore del secolo XIX.
Prevedibile, ancora, una tardiva riscoperta di questo filone da parte dell'Industria Culturale, così avida per il nuovo, già testato ed approvato, il che è esattamente il caso della produzione di Patativa.
Stampare questa voce avrebbe rappresentato un'approvazione, una legittimazione da parte della lingua colta e allo stesso tempo la possibilità di ritornare come matrice dell'oralità, in un processo di rialimentazione incessante, dove orale e scritto si contaminano, si penetrano a vicenda e si arricchiscono, per mezzo della pluralità di versioni e varianti.
Stampare questo canto avrebbe significato riattualizzare il percorso dei racconti attorno al fuoco, che si erano trasformati nelle prime edizioni, quando le tipografie si svilupparono e le storie avevano bisogno non solo di farsi eterne, ma anche di rendersi accessibili ad altri fruitori.
Il lato curioso di tutto questo percorso è che, prima di guadagnare il supporto della carta, i versi detti e ripetuti sulle colline di Santana, ad Assaré, e nella parte cearense della valle del Cariri, furono mediatizzati dalla radio.
Nel 1951, i Diàrios Associados fondarono la Radio Araripe, a Crato. Tra i programmi in palinstesto, quello di Teresinha Siebra, una trasmissione di varietà, una delle cui scelte indovinate fu la partecipazione di Patativa di Assaré.
Realizzato ogni lunedì, il mercato di Crato è un punto di riferimento per la vita commerciale e per le relazioni sociali della regione. Il fatto di essere un polo di concentrazione di persone e di irradiamento di influenze era ancora più marcato negli anni 50.
Patativa andava sempre al mercato. Da un lato v'erano i suoi interessi di agricoltore, legati alla vendita della sua piccola produzione. Dall'altro l'artista, interessato alle argille, all'esibizione della banda Aniceto e attento alla commercializzazione dei folhetos con il marchio editoriale di Josè Bernardo da Silva, la cui Tipografia São Francisco funzionava a pieno vapore nella vicina Juazeiro do Norte.
Patativa era già un personaggio noto e iniziò ad essere invitato a recitare i suoi poemi nei giorni di mercato. La sua voce aveva adesso una portata maggiore. A partire da allora, non erano più gruppi ristretti che potevano prendere parte alle sue esibizioni, di lui che aveva un'infinità di poesie conservate in memoria.
Il caso fece sì che Josè Arraes de Alencar, un intellettuale di Crato che viveva a Rio de Janeiro, in uno dei viaggi che faceva per venire a visitare la famiglia, un giorno sentisse quella voce entusiasmata dire poesie alla radio. Patativa tenta di ricostruire il dialogo di Arraes con la madre: Chi è che recita questi poemi meravigliosi? Una cosa tanto degna di attenzione, di divulgazione. La madre, donna Silvina, rispose che si trattava di un tale di Assaré, delle colline di Santana.
Arraes non perse tempo, e mandò qualcuno là allo studio di registrazione, per chiedere a Patativa di andare da lui subito dopo la trasmissione. Di nuovo il poeta tenta di ricostruire la scena: Quando arrivai là lui disse: tu qui hai una ricchezza culturale. Perchè non pubblichi? Il poeta avrebbe risposto: Io sono un contadino molto povero. Non ho mai sognato di publicare nulla perchè non ne ho i mezzi. Arraes disse enfatico: Pubblicheremo il libro.
Un libro che non esisteva nei termini di un originale preparato, come si dice in gergo editoriale.
Un libro che si costruì progressivamente a partire da una serie di poemi che Patativa recitava e Moacir Motta, figlio dello studioso di folklore Leonardo Motta, dattilografava.
Un passaggio nitido dal livello orale a quello scritto. Fu così che prese forma l'Inspiração Nordestina, più che un libro di debutto, un lavoro seminale, specie di sintesi e di impalcatura rispetto a tutta l'opera che Patativa nel tempo ha costruito.
L'opinione del poeta è eloquente: Vendevo molto di più in campagna che in città, ma vendevo alla svelta perchè tutti già conoscevano i poemi che v'eran contenuti.
E rispetto a questo processo di vendita è giusto specificare che, in quello stesso tempo, Patativa si presentava come cantastorie, partecipando a spettacoli e feste nelle fattorie e nelle piantagioni del sertão.
La mediazione della radio è significativa non solo perchè richiamò l'attenzione di colui che in seguito portò le bozze originali all'Editrice Borsoi, a Rio de Janeiro, ma anche per il fatto di ricorrere all'elettronica al fine di amplificare ciò che prima era ottenuto nelle notti e vigilie del sertão, nell'esecuzione del proprio lavoro e nelle feste in piccola scala. Patativa ci tiene a sottolineare che abbandonò la chitarra per sfuggire alle platee attratte soprattutto dal lato spettacolare, e optò per una relazione con la sua arte più compatibile con la sua sbandierata timidezza, con la sua scelta di lavorare la terra e con la sua visione del mondo.
Paradossale che, nel farsi performer, egli si collocasse al centro della scena e brillasse, in maniera ancor più narcisistica, senza la compagnia di un partner, il rivale delle sfide di canto, il che smentisce il suo malessere verso il diventare show-man.
Oltre che essere una novità, la mediazione della radio cominciava ad essere usata come parametro, per esempio, da cantastorie e suonatori, che iniziarono a farne uno spazio da occupare e da allora utilizzano la stampa o la registrazione, non solo come istanze legittimanti, ma come forme per offrire al proprio pubblico altri prodotti oltre al proprio disimpegno dal vivo, ovvero libri, vhs, audiocassette, compact discs.
Così come la stampa quotidiana non sancì la fine del cordel, come profetizzò Sìlvio Romero, la radio, invece di indebolire e disorganizzare le cantate - qui intese come manifestazioni dell'oralità popolare dotate di canoni, mercato e permeabilità alle innovazioni - servì come veicolo di trasmissione e rinforzo di queste manifestazioni.
Nel caso dei pionieri, come Hèrminio Castelo Branco, nel Piauì, o delle raccolte, l'orale passò per lo scritto senza questa mediazione.
A partire dalla diffusione nelle campagne del mezzo radiofonico diventa impossibile pensare al transito diretto tra orale e scritto. E Patativa rafforza bene questa affermazione perchè non occupa sistematicamente i microfoni, come un imprenditore, comprando quote o tempo nella programmazione, come la maggior parte dei cantastorie.
Molte volte è lo scritto che viene emesso attraverso la radio, facendo risaltare, spesso, la sua provenienza orale. In verità, si tratta di un gioco complesso che non consente riduzioni semplicistiche, nè affermazioni categoriche.
Il Patativa stampato, in forma di libro, è inizialmente l'Inspiração Nordestina, del 1956, che ottiene una seconda edizione undici anni dopo; Cante là que eu canto cà, pubblicato dalla Vozes, di Petròpolis, datato 1978, è il suo grande successo di vendite, con successive riedizioni; Ispinho e Fulô, del 1988, e Aqui tem coisa, del 1994, completano la sua bibliografia, che non può però escludere la raccolta Balceiro, che organizzò assieme a Geraldo Gonçalves, del 1991.
La produzione da parte di Patativa di folhetos di cordel fu motivata principalmente dalla sua amicizia con Josè Bernardo da Silva, a cui avrebbe regalato alcuni originali.
È lui stesso a correggere: Io non me ne interessai mai, perchè il cordel, quello è una cosa di commercianti. Nonostante queste limitazioni, i suoi titoli sono tra i tredici e i quindici (alcuni si persero in ragione della fragilità del supporto) e questo insieme fu rieditato, come scatola di folhetos, dalla Segreteria della Cultura dello Stato del Cearà, nel 1993, ed ottenne il formato di un libro, grazie alle edizioni UFC, nel 1999.
Questi folhetos meritano certamente uno studio più accurato. È poca cosa segnalare che essi adottano una modalità narrativa più prossima all'universo del pubblico ricevente. Preoccupazioni di marketing di questo tipo sono molto distanti dal poeta di Assaré.
Si può dire, appoggiandosi alle dichiarazioni di Patativa, che vari di questi folhetos furono commissionati. Un tentativo di classificazione mette in mostra uno spettro che va dall'enumerazione esaustiva dei pericoli del comunismo, scritto nel periodo successivo alla Costituente del 1946, su suggerimento di Don David Moreira, quando il Partito era nella legalità, fino alla cronaca giornalistica della morte di Don Henrique, a Recife, nel periodo autoritario post 1964.
Intrigante il fatto che quasi tutti questi folhetos furono incorporati ai libri, e che questa informazione sia stata omessa in tutte le edizioni, il che ha reso necessaria la consultazione delle opere di riferimento, la ricerca in varie collezioni e la partecipazione dell'autore per fare un inventario di questi titoli specifici.
Patativa scritto conserva le marche dell'oralità. Sono altri i ritmi della voce nasale, della sillaba che si dilata o si contrae, delle sincopi e delle elissi, in poemi che non nascondono la loro origine.
Patativa orale porta le marche della scrittura, del lettore vorace che egli stesso fu, da Camões ai poeti romantici, dei libri di riferimento, come quelli su Carlo Magno, la preoccupazione con la forma espressa dalla suo attaccamento e dalle citazioni ricorrenti al Tratado de Versificação, di Olavo Bilac e Guimaraens Passos.
Patativa su disco - e sono vari, ancora in vinile, a partire da Triste Partida, registrata da Luiz Gonzaga nel 1964 - recupera la voce, ma ci priva del gesto, dell'emozione di tutto un corpo che si fa poema.
Dell'uomo piccolino che cresce man mano che enuncia e si fa carico di un canto assieme ancestrale e caratteristico. Un Patativa che arrivò alla tecnologia laser con due dei suoi dischi.
Ancora nel processo dell'orale che si basa sullo scritto, il quale, a sua volta, già fu orale, figurano le musiche.
Ma lì sono altri i parametri che informano ciò che fecero il re del baião, Fagner, Daùde e un'infinità di interpreti, da Pena Branca e Xavantinho al forrò dei Mastruz com Leite, nel dare una ulteriore dimensione ai poemi attraverso il supporto di una melodia che, nel caso di Triste Partida e di Vaca Estrela e Boi Fubá, è di Patativa stesso.
È qui che entra in gioco la dimensione dell'Industria Culturale e le sue implicazioni in termini di mercato, una logica che infastidisce sinceramente il poeta di Assaré.
Nell'orale della voce che si amplifica, nella memoria che restò del cantastorie, nello scritto che fu composto a memoria e ottenne, in alcuni casi, un abbozzo su un quadernetto, in questi incessanti transiti che passano attraverso l'intervento dei media, Patativa è il portavoce di un'ancestralità che permane e si fa attuale, e il costruttore di un mondo attraverso le parole.
(tratto da: Gilmar de Carvalho, Patativa do Assaré, Passaro Liberto, ed. Museo do Cearà, Fortaleza, 2002)